In questo diciannovesimo appuntamento su Focus Finanza ci concentriamo su una semplice domanda: cosa spinge la banca più antica del mondo a mettersi in gioco come una start-up piena di energia? I soci di Monte dei Paschi di Siena, riuniti il 17 aprile sotto le storiche mura di Rocca Salimbeni, hanno dato un chiaro segnale: con l’86,48 % dei voti favorevoli, hanno approvato un aumento di capitale che finanzierà l’offerta pubblica di scambio (Ops) su Mediobanca.
Il via libera si fonda su un nuovo azionariato “italiano”: il Tesoro, che ora detiene l’11,7 %, il costruttore Francesco Gaetano Caltagirone (9,96 %) e Delfin, la holding della famiglia Del Vecchio (9,86 %). A loro si aggiungono fondi pensione e grandi nomi come Banco BPM, Norges Bank, Pimco e Anima. Se qualcuno avesse ancora dubbi sulla determinazione di Siena, basta ricordare che solo due anni fa lo Stato controllava il 64 % della banca.
Luigi Lovaglio si è presentato in assemblea con la grinta di un capitano che vede terra dopo una lunga tempesta: «È un’operazione vantaggiosa per tutti», ha dichiarato, immaginando sinergie tra la rete retail di Mps e il private banking di Mediobanca. L’Ops sarà lanciata tra giugno e luglio, dopo aver ricevuto l’approvazione di Bce, Ivass e Antitrust. L’obiettivo minimo è ottenere il 66,67 % dei diritti di voto di Mediobanca, una soglia che permetterebbe di consolidare i conti della banca e ottenere anche la sua partecipazione in Generali.
Il fronte opposto non resta in silenzio: il consiglio di amministrazione di Mediobanca ha definito l’offerta come «ostile e dannosa», accusando Siena di non riconoscere il vero valore della banca d’affari. Alcuni fondi statunitensi, pur avendo quote minori, hanno condiviso il rifiuto. Riuscirà Lovaglio a convincerli, o dovrà alzare il premio offerto?
Di sicuro, i numeri di Mps non sono più quelli di un malato cronico: nel 2024, l’utile netto è salito a 1,92 miliardi, il miglior risultato dal 2008, e il Cet1 fully-loaded ha superato il 16 %. Numeri che danno fiducia e permettono di immaginare la nascita di un terzo polo bancario capace di competere con Intesa Sanpaolo e UniCredit in Italia e di parlare con i mercati internazionali.
Restano però due incognite. La prima riguarda la politica: a Palazzo Chigi l’uso del “golden power” è stato escluso, ma l’interesse nazionale rimane sullo sfondo. La seconda è di mercato: i tassi di interesse stanno iniziando a scendere e il vento favorevole per i profitti bancari non durerà per sempre. Se l’Ops dovesse fallire, Siena rischierebbe di trovarsi con più capitale, ma senza un piano alternativo.