Visitare una mostra è sempre un viaggio dentro la bellezza, dentro la scoperta delle profonde emozioni che un artista con la sua arte, con le sue opere, riesce a trasmetterci, riesce a farci vibrare dentro. Ecco, la mostra su Vincent Van Gogh, uno dei più grandi al mondo di cui quest’anno celebriamo i 170 anni dalla sua nascita, in corso a Roma, a Palazzo Bonaparte fino al 7 maggio, ci fa toccare con mano la profonda verità di un artista, inconsapevole di esserlo e forse per questo ancora più puro, una verità che ci appassiona, ci sorprende, ci commuove.
Il percorso espositivo che comprende cinquanta opere provenienti dal prestigioso Museo Kröller Müller di Otterlo nei Paesi Bassi, ha un filo conduttore cronologico che fa riferimento ai periodi e ai luoghi dove il pittore visse nell’arco della sua breve e tormentata esistenza, morendo suicida a soli 37 anni. Alleato fondamentale in questo percorso, è il fitto carteggio Lettere a Theo che il pittore intrattiene, per tutta la vita, con il suo amato fratello minore, un rapporto particolarissimo e intimo che costituisce la fonte primaria per la comprensione di tutta l’arte e della vita stessa di questo immenso e rivoluzionario genio che ha segnato, per sempre, non solo il mondo artistico, ma l’intero Novecento.
Percorrendo le sale espositive ubicate su due piani di Palazzo Bonaparte, si viene invasi dall’intensa forza espressiva dei suoi disegni, delle sue tele e dalla profonda forza emotiva delle sue stesse parole. Ogni opera, infatti, è accompagnata, laddove possibile, da una didascalia che riporta contenuti ad essa riferiti, o al momento in cui è stata realizzata, o allo stato d’animo del pittore, pensieri, parole, scritti direttamente da Van Gogh, nelle sue numerose lettere. Questo permette al visitatore di entrare nella profondità dell’artista e di comprendere quanto in lui, vita e opera, si fondano in una cosa sola, quanto le sue opere siano lo specchio dell’esistenza tormentata e tragica di un’anima profonda, complessa, appassionata e straordinaria, alla disperata ricerca di un proprio posto nel mondo.
La mostra racconta il pittore olandese nella sua interezza, a partire dal 1881, quando decide di consacrare la propria vita alla pittura. Primogenito di 6 figli di un pastore protestante, aveva ben presto abbandonato gli studi e iniziato a lavorare per una società di mercanti d’arte. Qui, pur aspirando a diventare, seguendo le orme del padre, un predicatore, si appassiona alla pittura e inizia a lavorare come autodidatta, senza frequentare alcuna scuola artistica, traendo dal mondo rurale, i soggetti delle sue prime opere: contadini, tessitori, boscaioli, minatori “gli ultimi della società” come lui stesso li definisce. Di queste figure, colte nella loro severa quotidianità, mette in scena, in quadri e disegni densi di una struggente poesia, la religiosità della fatica, del lavoro della terra, della vita contadina, della sofferenza, segno indelebile dell’ineluttabile destino dell’uomo. Nella seconda sezione della mostra, ubicata nel piano superiore del nobile palazzo, si racconta il periodo francese dell’artista, da quando Van Gogh, nel 1886, lascia l’Olanda, dove non vi farà più ritorno, per trasferirsi in Francia, prima a Parigi, poi ad Arles in Provenza, a St. Remy e infine a Auvers-Sur-Oise, dove muore il 29 luglio del 1890, mettendo fine, dopo due giorni di silenziosa agonia, alla sua tormentata esistenza.
Qui troviamo opere più mature, frutto di una maggiore consapevolezza del proprio lavoro, in cui la ricerca e l’uso del colore e una nuova libertà nella scelta dei soggetti, sono il risultato evidente di una conquista di un linguaggio ricercato e voluto, più immediato e cromaticamente più acceso, vibrante, che trasmette energicamente i sentimenti dell’autore di fronte al mondo. In questi anni molto intensi, Van Gogh dipinge senza sosta, impegnando tutto sé stesso, nella speranza di riuscire ad ottenere quel consenso tanto atteso che non arriverà dai suoi contemporanei.
Le cinquanta opere esposte rappresentano solo una piccola parte della sua sterminata produzione artistica (900 tele ed oltre mille disegni), ma la mostra, che sta riscuotendo un grande successo con all’attivo oltre 400.000 mila visitatori, riesce mirabilmente a restituire la grandezza, la poesia e la fragilità dell’anima di un artista puro, dotato di una straordinaria forza di volontà. Non era nato pittore Van Gogh, ma ci diventa proprio con quella forza di volontà, con il costante lavoro, malgrado la drammaticità della sua vita e le condizioni di salute mentale assai precarie. L’intensa e profonda carica espressiva dello sguardo, a tratti fiero, del suo Autoritratto, cuore pulsante di tutta la mostra, sembra sfidare l’indifferenza del mondo distratto dei suoi contemporanei, oltrepassare il dolore dell’esistenza come destino ineluttabile dell’uomo, restituendo la sua vita e la sua arte all’immortalità.