mercoledì 06 Dicembre 2023
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Peggiora la “salute” delle micro e piccole imprese italiane

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Dopo due anni di pandemia, dopo i tentativi di ripresa, in un quadro generale non facile che vede sullo sfondo le drammatiche conseguenze, non solo umanitarie, ma anche politiche e socioeconomiche del conflitto russo-ucraino, lo stato di salute delle imprese italiane peggiora nuovamente. 

A dirlo, sull’analisi dell’andamento di 618.000 società di capitale nel periodo 2019-2022, è l’Osservatorio Rischio Imprese del Cerved, secondo cui, negli ultimi due anni, tra il 2021 e il 2022, le società a rischio fallimento sono cresciute, in Italia, quasi del 2%, passando dal 14,4% al 16,1%, raggiungendo circa le 100.000 unità (+11.000), con 11 miliardi di euro in più di debiti finanziari, per un totale pari a 107 miliardi.

Comparti più in difficoltà

I grandi comparti con i peggioramenti più significativi sono: le costruzioni con il 17,6% delle società a rischio e quasi il 60% in area di fragilità, anche per l’alta incidenza di aziende piccole e poco strutturate; i servizi non finanziari penalizzati dal mancato completamento del percorso di ripresa dalle perdite subite durante il Covid; i trasporti e l’industria pesante, che risentono in misura maggiore dell’aumento dei prezzi dell’energia e dei materiali; alcuni segmenti dell’agricoltura, come la produzione di mangimi per animali e la lavorazione di cereali, penalizzati dal blocco degli approvvigionamenti dovuto al conflitto in Ucraina. 

Tra i primi 10 settori con la più alta quota di imprese a rischio, otto appartengono ai servizi, come già detto, non finanziari: trasporti aerei (41,2%), parrucchieri e istituti di bellezza (37,8%), distribuzione al dettaglio nel ramo della moda (36,4%), ristorazione (30,1%),  alberghi (21,6%) e organizzazione di fiere e convegni (25,5%). Seguono, con un peggioramento più consistente del rischio, le imprese del settore dell’industria pesante, la siderurgia (26,4%), i produttori di tubi in acciaio (17,5%), la lavorazione di metalli (13,7%), la cantieristica (20,2%) e l’automotive (19,4%).

Più a rischio le micro e piccole imprese che quelle di medie dimensioni

Le imprese che risentono di più del peggioramento della congiuntura economica, sono quelle a ridotte dimensioni rispetto a quelle di medie dimensioni che invece reggono l’urto, e i cui bilanci, secondo un recente studio di Mediobanca, in collaborazione con UnionCamere, parlano di un agglomerato di imprese, soprattutto industriali, in buona forma. 

Come era prevedibile, il rischio default è più consistente tra le micro-imprese (16,7%) e le piccole (9,9%), già maggiormente colpite dalla pandemia e più esposte agli effetti negativi di un mercato intriso di fattori negativi, quali l’aumento del costo dell’energia, l’aumento dell’inflazione, la mancanza di materie prime ecc., fattori, alcuni, antecedenti e altri successivi alla guerra tra Russia e Ucraina, e che, alla fine, stanno minando la capacità di tenuta di un sistema produttivo già fortemente debilitato.

Oltre il 60% delle imprese più fragili al Sud

Allo stesso modo, non stupisce che le imprese più fragili si trovino soprattutto al Sud, dove la percentuale di  imprese cosiddette rischiose e quelle vulnerabili, raggiunge addirittura il 60,1% delle oltre 150.000 aziende totali, aggravando, così,  il già ampio divario con il Nord del Paese. Il Centro, inoltre, fa registrare il peggioramento più significativo tra 2021 e 2022, diventando l’area con la maggiore incidenza di imprese rischiose. 

Proprio nel Centro-Sud, sono localizzate le province che hanno registrato un peggioramento significativo e sono caratterizzate da settori fortemente penalizzati, come il turismo, la ristorazione, l’edilizia e parte dell’ingrosso agroalimentare: Isernia, terza per rischiosità in Italia, passata dal 19,8% al 23,7% di imprese a rischio; il Sud della Sardegna (20,4%, +3,5 punti percentuali), Matera (20%, +3,3 p.p.), Foggia (17,8% +3 p.p.), Vibo Valentia (21,7%, +3 p.p.) ma anche città metropolitane come Cagliari (20,1%, +2,9 p.p.) e Roma (21,4%, +2,7 p.p.). La provincia con la maggiore quota di aziende a rischio è invece Crotone (24,6%, +1,7 punti percentuali), seguita da Terni (24,5%, +2,7 p.p.), Isernia (23,7%, +3,9), Reggio Calabria (22,4%, +1,5 p.p.), Messina (22,3%), Siracusa (22,2%, +3 p.p) e Cosenza (22,1%).

Il Nord-Est, al contrario, si caratterizza per la più alta quota di imprese sicure e solvibili (135.000, il 62,3%) anche se nel 2022 la rischiosità del tessuto produttivo è tornata a crescere portandosi al 12,6%. Considerando le 184.000 imprese del Nord-Ovest, la quota di società a rischio è oggi del 14,2%, un dato molto più elevato rispetto al 2019 (10,4%) e che se sommato a quello delle imprese vulnerabili, porta le imprese fragili al 42,0% contro il 33,3% del periodo precedente al Covid.

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