venerdì 08 Dicembre 2023
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Coprifuoco, smart working e fuga dalle città

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Nonostante la Commissione Europea abbia valutato una proiezione del PIL italiano al -9,5% e il settore immobiliare nel complesso abbia già subito una contrazione, con gli alberghi che affondano del -20,2%, in modo imprevedibile riprendono le compravendite immobiliari nelle aree provinciali italiane, dove è più alta la qualità della vita e non di rado i servizi pubblici sono dimensionati meglio in proporzione alla popolazione.

Il motivo di tale timido accenno di vivacità è correlato al mix di provvedimenti pubblici che hanno istituito il coprifuoco, a livello di regioni e grandi città, la reintroduzione dell’autocertificazione, lo smart working per dipendenti pubblici e privati, ma soprattutto il rischio di un secondo tragico lockdown. Tutto ciò sta facendo rapidamente e profondamente cambiare le già mutate abitudini degli italiani, tra cui le preferenze al consumo e al vivere in modo apparentemente più sicuro.

Ma non tutti hanno la libertà economica di poter cambiare il luogo dove abitare: l’INPS ha registrato un -38% delle assunzioni da inizio 2020.

Infatti, non sono trascorse nemmeno 48 ore dall’istituzione del coprifuoco in Campania, in Lombardia e nel Lazio che la Sardegna potrebbe aggiungersi all’elenco delle regioni che restringe la libertà di movimento degli italiani. L’elenco delle limitazioni più o meno forti si potrebbe allungare a breve con altre misure provenienti dalla Calabria, dall’Emilia Romagna, dalla Liguria, dal Piemonte.

È chiaro che molte attività economiche stanno subendo un secondo colpo alla difficile sostenibilità dei propri conti resi fragili dopo sette mesi davvero inediti e durissimi. Senza contare che alla fine dello scorso settembre l’INAIL ha ricevuto 54.128 denunce di contagio sul posto di lavoro, con un aumento di 1.919 denunce rispetto a fine agosto. In una parola: è davvero difficile fare impresa al giorno d’oggi, anche considerando il fatto che l’ISTAT osserva l’inflazione al -0,6% nel mese di settembre, confermando il trend deflazionista.

Anche i centri commerciali non sono stati esentati dal giro di vite per fronteggiare la diffusione del contagio e sempre più esercenti preferiscono abbassare definitivamente la serranda che tenere in piedi attività commerciali non alimentari che hanno prospettive di fatturato a dir poco davvero imprevedibili e pesanti rischi legali per le possibili denunce dei dipendenti che si trovano positivi.

Il prolungamento al 31 dicembre 2020 dello stop all’invio delle cartelle esattoriali non era stato ascoltato, ma il peggioramento della situazione sanitaria ha indotto pure l’Agenzia delle Entrate Riscossione a consentire il differimento fino alla fine dell’anno del termine di sospensione per la notifica e il pagamento delle cartelle, precedentemente fissato al 15 ottobre 2020 dal “Decreto Agosto”.about:blank

Sul proprio portale web, l’Agenzia delle Entrate Riscossione ha altresì prorogato l’agevolazione del più lungo termine di decadenza delle rateizzazioni presentate entro il 31 dicembre 2020, consistente nel mancato pagamento di 10 rate, anche non consecutive, invece delle consuete 5 rate.

Ma al di là di questi due provvedimenti, l’Agenzia delle Entrate come si comporterà verso i professionisti e le imprese delle aree sottoposte alle restrizioni? Ciò che i dirigenti pubblici addetti alla riscossione sanno bene ma si comportano come se non volessero capirlo è che l’economia è un sistema che ha un funzionamento efficiente ma delicato: se uno o più settori vanno in crisi di liquidità e di fatturato, ne risente a cascata il resto del sistema in modo più o meno impattante.

Chi, almeno in parte, va a gonfie vele sono gli operatori finanziari, che stanno velocemente ripensando a soluzioni di asset allocation più performanti per una quantità stratosferica di miliardi di euro. Non a caso, è stato un successo oltre ogni più rosea aspettativa il collocamento dell’eurobond “Sure Social”, che ha l’obiettivo di finanziare la cassaintegrazione anti-Covid dei paesi dell’Unione Europea, Italia in testa. Il pool di banche incaricato dall’Unione Europea e composto da Barclays, BNP Paribas, Deutsche Bank, Nomura e UniCredit, non si aspettava di ricevere 150 miliardi di domande per l’obbligazione europea che nelle attese doveva raccogliere 15 miliardi.

Angelo Paletta

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